Il mio papà

Quando ero ricoverata ad Avellino era diverso. I miei compagni di classe, la mia Amica, le mie prof, gli amici del paese venivano a trovarmi ma a Milano era tuta un'altra storia.
A Milano eravamo solo io e lui. Il primo ricovero fu la scoperta di un nuovo mondo. 
Da noi, al Sud, le cose non vanno così bene. Anche la malattia sembra meno malata. Il reparto di neurologia pediatrica però è uno scempio. Ho subito avuto i nervi a fior di pelle.
Non è possibile che Dio, se esiste davvero, permette una cosa simile. Cosa hanno fatto di male quei bambini? Sono così piccoli, indifesi e vulnerabili anche da sani, per quale motivo fargli del male?
Il più grande avrà avuto 3 anni, il più piccolo poche ore. Ed io guardo lui, il mio papà, nei suoi occhi cerco una risposta ma non riesco a trovarla. Neanche lui, l'uomo che mi ha sempre saputo spiegare tutto, resta muto dinanzi a ciò che vede.
Il mio papà, classe 1949. Il mio uomo. Il mio primo uomo in assoluto. Un'infanzia non proprio rosea. Un'adolescenza altrettanto. E da adulto la scoperta di non poter avere bambini suoi, intraprendendo un viaggio della speranza verso il Brasile, dove ad aspettarli, nel freddo gennaio del 1988 c'ero io. Lì faceva caldo ed io ero nata da pochi giorni. Ero il regalo di Natale sotto l'albero ma, non sapevano, che i figli non sono solo un regalo ma anche tanti grattacapi.Io credo di averli fatti disperare appena ho cominciato a mettere i piedi a terra e camminare da sola. Monella birbante nel profondo dell'essere. Ma lui, mi ha sempre amata lo stesso. Ero, e sono ancora, la sua bambina. Credere di essere una donna per lui, una persona adulta, è ancora troppo difficile.
Mia nonna diceva "Deve cadere quella casa che non ha croci da portare" Io sono stata la croce della mia casa e sono sicura di esserlo ancora, nonostante non viva più con i miei da un pò. Ma non voglio divagare, stavo parlando del mio super papà . . .
Il mio papà è stato con me a Milano. Abbiamo percorso insieme il viaggio che ci ha portati fino al Carlo Besta. Eravamo in treno la prima volta. Non immaginavo di poter stare male e ho lasciato che il mezzo di trasporto fosse quello più economico. Mi sbagliavo. Sono salita sul treno che avevo abbastanza forza da muovermi da sola ma arrivati a destinazione le forze erano diminuite. Mio padre era lì a sorreggermi e alla fine, grazie ad un cugino di mia madre che ci venne a prendere, arrivammo in ospedale.
Si misero subito all'opera per farmi stare bene. Mio padre rimase con me tutto il tempo. Anche la sera, poi tornava a dormire da Peppe, il cugino di mamma. Quei giorni furono devastanti. Per me almeno la metà di come non siano stati per lui. Il dolore più forte che possa provare una persona è nel vedere coloro a cui vuole bene soffrire. Credo che lui abbia provato questo dolore, eppure è sempre stato lì. Pronto a restare di ghiaccio dinanzi una figlia che non prometteva niente di buono.Dinanzi a me che scleravo maledettamente. Ricordo che un giorno gli dissi: "Papà! Ho deciso cosa voglio fare da grande" lui sollevando su un sopracciglio mi guardò, pronto a sentire l'ennesima cazzata. "Voglio fare la rivoluzionaria" e continuai spiegandogli per quale motivo la mia tesi sul possibile lavoro che avrebbe cambiato la mia vita e quella del resto del mondo era totalmente giusta. Lui sorrideva. Io gli continuavo a dire che era vero, che sarebbe andata come dicevo io. Alla fine però, è andata diversamente.
Quando conobbi Lele, le cose cambiarono un pò. Lui sembrava anche più sereno. Io cominciavo a stare meglio. Percepivo nuovamente suoni e sapori. Era nata una bella amicizia, un modo di farsi compagnia e trascorrere insieme quelle giornate brutte. Mi preoccupavo per lui. Le infermiere si preoccupavano di tenerci separati in modo che non potessimo copulare quando nessuno ci vedeva. Non era il caso, eravamo amici, non lo avremmo mai fatto. Di giorno stavamo insieme. C'era anche mio padre. Ci divertivamo anche solo a guardare la televisione, o a fare puzzles con pezzi troppo grandi per noi. Stavamo bene, anche se stavamo male. Io stavo bene perchè a preoccuparsi di me c'era lui, il mio papà.

La seconda volta che siamo saliti a Milano prendemmo l'aereo. Avevo bisogno di arrivare presto, non potevo stare in treno. Le mie gambe facevano troppo male e il mio papà mi accontentò. Si prese cura di me. Quello che accaduto quando siamo saliti non lo ricordo. Faceva caldo questo lo ricordo. Con noi c'era Elisa, la cugina di mamma di Lecce che aveva il figlio lì. 

I miei ricordi sono terribilmente offuscati. Non so se le medicine abbiano contribuito ad annebbiare la memoria, ma se lo hanno fatto un pò gliene sono grata. Sono rammaricata del fatto che lui, il mio papà, a differenza mia, ricorda sicuramente ogni cosa, ogni particolare. Sono rammaricata perchè non so se lui un giorno leggerà questo post, ma se dovesse leggerlo, se dovessi leggerlo papà sappi che ti voglio bene, anche se ora, che potresti aver bisogno della mia presenza accanto a te e non ci sono perchè troppo presa dalla mia pupattola, da Francesco, dalla casa, da mio marito e da me stessa, ti voglio bene immensamente. E non ti voglio bene perchè sei stato accanto a me e ti sei preso cura di me ma solo perchè TU SEI IL MIO PAPA'.

Mariangela

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